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Una professione tecnica, considerata quasi “da nerd”, che ha molto a che fare con le competenze in studio e il continuo aggiornamento dei più contemporanei hardware e software, ma anche e soprattutto con tanta cultura musicale, creatività e sensibilità. Quella del fonico – o sound engineer – è una professione che quindi ha una rilevanza decisiva nella riuscita artistica di una produzione, il suo intervento infatti può rendere perfetto (o meno!) un progetto musicale.

Di questo e molto altro, abbiamo discusso con Alex Trecarichi, producer e sound engineer noto a livello nazionale e non solo, che è stato dietro il mix di artisti del calibro di Max Pezzali, Fedez,  Elio e Le Storie Tese, Fatboy Slim, Cassius, Kanye West, Francesco Gabbani, Biagio Antonacci, Nek, The Kolors, Paola Turci, Thomas e molti altri. Alex è stato coinvolto in innumerevoli produzioni per registrare, mixare, masterizzare, arrangiare, produrre e suonare strumenti per i più celebri talenti artistici e programmi TV italiani. Ha inoltre ricoperto la carica di docente presso S.A.E Milano, I.E.D ed altre numerose scuole professionali italiane. 

D: Sei classe ’77 e negli ultimi 20 anni hai lavorato in innumerevoli progetti musicali, registrando, mixando, masterizzando, arrangiando, producendo e suonando per i più importanti artisti italiani e show televisivi. Ma come sei arrivato a tutto questo? C’è stato un fattore determinante nella tua vita che ti ha portato a questo lavoro?

A 14 anni, come molti teenager, ho iniziato a suonare in alcune band di rock alternativo, la musica era da sempre una mia passione. Successivamente ho studiato chitarra e canto moderno. Potrei dire quindi che non c’è stato un fattore in senso stretto, ma è stata una scelta naturale, una volta finito il liceo, quella di scegliere un percorso scolastico che mi avrebbe portato a lavorare nell’ambiente musicale.

D: Ormai il tuo studio di Milano, Monodynamic, è attivo da più di 10 anni e ha visto il passaggio  di molti artisti, cantanti, Dj, band, producer spesso di generi e suoni diversi, quale è quello che senti più nelle tue corde? 

Ho lavorato per tanti tanti anni nel pop, ma la mia formazione musicale è prevalentemente basata sull’elettronica, per questo un pop moderno, la cui produzione è molto contaminata dall’elettronica, è ciò che sento più vicino al mio gusto personale. Gusto personale che però con gli anni, ho imparato spesso a mettere da parte per potermi adattare a ciò che è meglio per l’artista con il quale sto lavorando.

D: E a proposito di questo quanto è importante per un fonico avere familiarità con il genere musicale dell’artista con cui sta collaborando?

Credo fortemente che sia fondamentale. Ogni genere musicale va trattato in maniera differente: non si può pensare di far suonare allo stesso modo un brano rock ed uno trap, semplicemente adattando un routing o delle catene di processing che si è soliti usare: cambiano le proporzioni, cambiano le tecniche da utilizzare. La sinergia con l’artista, il suo universo sonoro è fondamentale nella mia professione.

D: Il mestiere del fonico è quindi una delle chiavi del successo di un brano? Che peso musicale ha un fonico all’interno di un progetto? Credi che le scelte di un fonico possano influenzare in modo determinante la riuscita di un prodotto discografico?

Trecarichi: Partiamo con un esempio alla portata di tutti ma che fa ben capire il valore anche artistico di questa professione: negli Stati Uniti chi mixa un album percepisce addirittura quelli che sono chiamati “diritti secondari”, ha quindi diritto a ricevere parte dei proventi sul diritto d’autore. In Italia non funziona così. Personalmente sento molta approssimazione anche in brani in vetta alle classifiche, mixati in casa usando preset o semplicemente usando loop preconfezionati, magari con errori armonici tra l’uno e l'altro “che tanto va bene lo stesso”…. Ma in realtà non è va bene così. Il fonico ha un vero peso nella riuscita di un brano. Certo però sarebbe anacronistico dire che questo non sia vero: i grandi numeri sulle piattaforme di streaming sono fatti da ragazzi che ascoltano la musica dagli speaker del telefonino o da casse Bluetooth da poche decine di euro, quindi il dettaglio, la ricerca del suono e altri fattori che fino a una decina di anni fa erano determinanti, a volte passano in secondo piano, soprattutto tra i produttori più giovani che, molto spesso, non suonano gli strumenti musicali. Se però si analizza bene lo scenario, sulla lunga distanza vince sempre chi ha cura del dettaglio: ho sempre pensato che dietro ad una grande canzone ci siano, oltre all’artista, un grande produttore e un grande fonico. Nella storia della musica è sempre stato così.

D:Lo strumento musicale del fonico è lo studio di registrazione. Nei tuoi anni di carriera avrai senz’altro visto e utilizzato tantissime macchine, microfoni, compressori, etc. Quale reputi imprescindibile nel tuo lavoro?

Le cose sono cambiate tantissimo negli ultimi 5-6 anni. Quando ho cominciato io era impensabile mixare un album utilizzando solo un computer, invece oggi, come buona parte dei miei colleghi, mixo tutto (o quasi) “in the box” usando software ed emulazioni di macchine che magari ho anche in studio ma che raramente accendo. Negli anni ho investito molto in software, non potrei dire quale è fondamentale, ce ne sono almeno una decina senza i quali il risultato finale sarebbe differente. Tra i brand che utilizzo di più, sicuramente Acustica Audio, Universal Audio e Plugin Alliance, ma anche tool incredibili come quelli sviluppati da Oeksound e Soundtheory. Discorso diverso per quanto riguarda la registrazione, dove ancora oggi c’è una differenza importante tra i preamplificatori e i processori di cui sono dotate le schede audio ed gli outboard da studio.

D: La tecnologia e la fruizione quindi sono in costante e continuo aggiornamento, in veste di esperto hai qualche consiglio su come prepare una buona traccia per le piattaforme digitali per i giovani artisti che si occupano anche di questo aspetto in autonomia?

A volte capita che chi si masterizza il brano in casa non ha la minima idea di quali siano le specifiche richieste dalla piattaforma. Faccio un esempio: si sa che Spotify normalizza i brani a -14 LUFS, un po’ meno che li normalizza a -11 LUFS per gli utenti Premium e che questa normalizzazione non viene applicata sulla TV e sul web player. Oltre a questo, quasi nessuno lascia 1 dB True Peak per evitare distorsione durante la conversione nel formato lossy.
In generale il mio consiglio è quello di verificare le specifiche richieste dalla piattaforma di destinazione e di utilizzare nel caso un tool per ascoltare cosa accade una volta che il file viene uploadato. Di tool ce ne sono veramente tanti, tra questi segnalo ADPTR Streamliner, Sonnox Pro-Codec V2, Youlean Loudness Meter Pro e Loudness Penalty.